Fase attuale competizione internazionale: differenze tra le versioni

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Si tratta di forzare l’orizzonte a partire dal superamento dei confini sociali fra classe operaia propriamente detta, gli intellettuali, nuove figure del lavoro, del lavoro negato, del non lavoro, e accomunare questi gruppi sociali nella loro lotta per l’emancipazione sociale; ritrovandosi nei fatti nel conflitto capitale-lavoro,superandonellalotta gli schemi dell’ormai, decretata da alcuni studiosi anche di origine marxista, fine del lavoro.
Si tratta di forzare l’orizzonte a partire dal superamento dei confini sociali fra classe operaia propriamente detta, gli intellettuali, nuove figure del lavoro, del lavoro negato, del non lavoro, e accomunare questi gruppi sociali nella loro lotta per l’emancipazione sociale; ritrovandosi nei fatti nel conflitto capitale-lavoro,superandonellalotta gli schemi dell’ormai, decretata da alcuni studiosi anche di origine marxista, fine del lavoro.
...Ma quale fine del lavoro! Sempre più è viva l’analisi scientifica di Marx sul lavoro salariato, sulla “proletarizzazione” ed immiserimento, assoluto e relativo, di strati sempre maggiori delle società a capitalismo avanzato; per non parlare dei livelli di schiavitù, di feudalesimo e di miseria assoluta nel Terzo e Quarto mondo.
Tuttavia, le tendenze attuali, con l’aumento del numero dei lavoratori salariati impegnati al di fuori della produzione materiale propriamente detta, l’aumento del numero degli impiegati, dei flessibili, dei precari, dei temporanei, degli atipici in genere, l’incremento del tasso del lavoro intellettuale, o del finto lavoratore autonomo, nella composizione dell’ “operaio collettivo”, sono ben lungi da testimoniare la “deproletarizzazione” della classe operaia, o della classe lavoratrice in genere.
E’ così che nonostante il passaggio dall’era fordista alla cosiddetta era post-fordista, dall’operaio massa all’ “operaio sociale”, dalla centralità di fabbrica alla fabbrica sociale generalizzata, dalle “tute blu” ai colletti bianchi, dal lavoro manuale a lavoratori della conoscenza e dell’intelligenza, anche nei paesi a capitalismo avanzato permane e vive sempre più il lavoro salariato con forme sempre più sofisticate e sempre più incisive di sfruttamento.
Marx rivelò la tendenza oggettiva della produzione capitalistica verso uno sfruttamento massimo della classe operaia. Tale tendenza si è verificata e si verifica nel corso di tutta la storia del capitalismo.
ggi e a maggior ragione oggi, non è il fatto che ci sia sfruttamento di una parte della popolazione da parte di un’altra, quanto la forma che tale sfruttamento assume, cioè la produzione di ...
”plusvalore, per il quale il capitalista non paga nessun equivalente. E’ su questa forma di scambio tra capitale e lavoro che la produzione capitalista, o il sistema del lavoro salariato, è fondata, e che deve condurre a riprodurre continuamente l’operaio come operaio e il capitalista come capitalista.”
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Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono soprattutto trasformazioni che nascono dalla continua interazione del nuovo terziario postfordista con il resto del sistema produttivo, con tutto il territorio proprio perché si tratta di trasformazioni nate dall’esigenza di ridefinizione produttiva e sociale del capitale. Per poter essere lette sono pertanto necessarie analisi fortemente disaggregate della distribuzione localizzativa delle attività da confrontare con una lettura territoriale, più squisitamente sociale e politico-economica. Le nuove figure del mercato del lavoro, i nuovi fenomeni imprenditoriali sempre più spesso si configurano in forme occulte comunque di lavoro salariato, lavoro subordinato, precarizzato, non garantito, di lavoro autonomo di ultima generazione che maschera la cruda realtà dell’espulsione dal ciclo produttivo; si tratta di nuova emarginazione sociale altro che autoimprenditorialità!
E’ allora il territorio il centro verso il quale far convergere una parte rilevante degli interessi della collettività, della classe, delle nuove soggettualità che operano in un’impresa diffusa socialmente nel sistema territoriale. Una fabbrica sociale generalizzata in cui si generano nuovi soggetti che si devono ricomporre ad unità come corpo organizzato, come una totalità di parti interagenti come nuovi soggetti di classe, che si danno una certa caratterizzazione sociale perché derivano da una certa caratterizzazione produttiva della riconversione neoliberista, del modo di produrre e di proporre socialmente la centralità dell’impresa, del profitto, del mercato.
Attraverso una procedura oggettiva e scientifica, si può analizzare entro lo stesso ambito di studio l’analisi economica internazionale e nazionale per verificare le modalità di insediamento del sistema economico spazialmente concentrato, specializzato in un certo settore o in certe modalità produttive, relazionandolo ad una popolazione socialmente e territorialmente caratterizzata in modo coerente. Nuovi soggetti di classe, quindi, capaci, cioè, di innescare contraddizioni economico-sociali e processi di socializzazione. Valori e comportamenti orientati e derivati dalla presenza di un modello di sviluppo che a causa della ristrutturazione dell’impresa e del capitale incide profondamente sul territorio e crea la sua contraddizione nella nuova fase del conflitto capitale-lavoro.
Tali processi necessitano di una diversa e più articolata lettura socio-politica; hanno bisogno di nuove logiche interpretative, di nuovi strumenti ignorati dalle analisi di impostazione industrialista dell’era fordista per rilanciare una nuova fase del conflitto di classe.
Ne consegue che la liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalistico è possibile soltanto mediante il superamento del modo di produzione capitalistico. Questa deduzione aveva ed ha tuttora un’importanza molto grande poiché pone decisamente in discussione ogni sorta di illusione circa il superamento del conflitto capitale-lavoro all’interno del modo di produzione capitalistico.
Solo così si realizza un processo di profondo rinnovamento e superamento, in senso economico, politico e quindi sociale, totalmente fondato sul terreno di una possibile alternativa al capitalismo. Questa deve essere la linea guida della trasformazione, il compito fondamentale dell’onesto studioso marxista.
Come ci ha insegnato la gloriosa storia del movimento operaio, solo dalla stretta simbiosi fra teoria e prassi si può realizzare quell’ “intellettuale collettivo”, quella completa scienza che sia in grado di esprimere una funzione guida per tutti i movimenti di opposizione antiglobalizzazione liberista in modo tale che possano muoversi lungo la linea strategica della lotta contro la competizione globale per poli e con essa per il superamento del modo di produzione capitalistico.
E’ per questo che compito degli studiosi scrupolosi, onesti e coerenti è quello di affermare con forza la validità scientifica e l’attualità del pensiero di Marx e, se marxista, anche della sua attuazione pratica concreta. Si può così riprendere un dibattito in positivo e non soltanto attuare un’operazione politica e culturale dei marxisti in termini difensivi. Lanciando, in definitiva, una vera e propria “offensiva” scientifica, culturale che sappia riappropriarsi con forza, anche se con elementi di critica ma sempre in positivo, della teoria marxiana, della sua validità scientifica, ripercorrendo al contempo le esperienze di tutti quei movimenti culturali, ma anche politici e sindacali, che hanno affrontato e ancora affrontano la critica scientifica, anche radicale in chiave di alternativa al capitalismo.


da http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=190
da http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=190

Versione attuale delle 23:51, 11 mag 2008

Per comprendere l’attuale fase della competizione globale è determinante, come sempre, connetterla con l’analisi dell’organizzazione del ciclo produttivo, delle caratteristiche del tessuto produttivo e sociale, del ruolo dello Stato, dei rapporti tra le aree internazionali e della loro struttura economica, degli interessi complessivi di dominio ed espansione che determinano il conflitto interimperialistico. Tutte problematiche fortemente connesse, spesso anzi dipendenti dall’epocale passaggio dall’era fordista a quella cosiddetta postfordista.

Ripercorrendo molto schematicamente le ultime fasi politico-economiche risulta che già a partire dall’inizio degli anni ‘70 comincia a venir meno quel connubio fra sistema produttivo fordista e modelli keynesiani attraverso i quali lo Stato realizzava un contesto complessivo di mediazione, regolazione e compressione del conflitto sociale.

Si parla a tal proposito di messa in discussione della rigidità dei processi di accumulazione proprio perché la crisi fordista è identificata dalla rigidità degli investimenti e dell’innovazione tecnologica, da una rigidità dei mercati di incetta e dei mercati di consumo; a ciò si aggiunge la rigidità del mercato del lavoro, grazie anche alla forza espressa dal movimento operaio tra la seconda metà degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70.

Tali “rigidità” del sistema produttivo facevano sì che non fosse più possibile il sostenimento della domanda attraverso la spesa pubblica a causa di un restringimento della base fiscale; l’unica risposta fu allora quella della politica monetaria caratterizzata da linee inflattive. Si interrompevano, così, i processi di crescita del dopoguerra in un contesto di sviluppo economico che vedeva nuovi processi di concorrenza internazionale e il venir meno del ruolo dello Stato keynesiano. L’intenso processo di industrializzazione fordista si sposta, allora, verso nuovi mercati, specialmente del Sud-Est asiatico e dell’Europa Centro-Orientale, aumentando la competizione internazionale e mettendo in discussione la leadership statunitense.

Nel 1973 l’innalzamento dei prezzi del petrolio, il primo shock petrolifero e le politiche di controllo dell’inflazione evidenziano difficoltà finanziarie e un’eccedenza di capacità produttiva nei paesi a capitalismo avanzato; tutto ciò metteva fortemente in crisi i processi di accumulazione capitalistica dell’era fordista.

Si delineano di conseguenza strategie di sopravvivenza aziendale e capitalistica in una situazione di forte deflazione (1973-75); l’uscita dalla stagflazione identifica processi che mettono fortemente in discussione il compromesso fordista-keynesiano. Da allora iniziano le innovazioni nell’organizzazione industriale, l’intensificazione dell’innovazione tecnologica e dei modelli di automazione, i processi di delocalizzazione produttiva, i grandi piani di acquisizioni e fusioni, la nuova progettualità complessiva per l’accelerazione dei tempi di rotazione del capitale. Insomma forti innovazioni di processo e di prodotto che si accompagnano ad un diverso sistema statuale-istituzionale di mediazione politico-sociale che ha come obiettivo il controllo estremo della conflittualità dei lavoratori e dell’antagonismo sociale in genere.

Tali processi hanno bisogno di un diverso modo di realizzare il ciclo produttivo, di un diverso modo di rapportarsi alla forza-lavoro, di un diverso modo di interpretare le dinamiche spaziali della produzione, e tutto ciò è possibile attraverso un ruolo diverso dello Stato nel veicolare complessivamente la nuova ideologia per l’accumulazione. E’ così che le rigidità dell’ultima fase fordista debbono trasformarsi in flessibilità dei processi produttivi, flessibilità dei mercati del lavoro, flessibilità della domanda. Tutto ciò in funzione tale che le minacce da parte dei movimenti dei lavoratori all’ordine sociale capitalista, e i periodi di crisi dovuti a processi di sovraccumulazione, potessero essere assorbiti o perlomeno contenuti e gestiti.

Negli anni ‘80 si è verificato un sostanziale cambiamento nella durata dei cicli economici; si rileva infatti che , mentre nel periodo seguito alla seconda guerra mondiale il ciclo economico si caratterizzava per una durata di circa cinque anni, dal 1980 in poi la distanza tra due periodi di recessione si è allungata a oltre 10 anni anche se la ripresa economica ha poi stentato a realizzarsi.

Si è cercato così di “snellire le imprese pubbliche e private” per attuare una “produzione snella”: “Produzione snella, dunque, ed esternalizzazione dei costi sociali attraverso l’appalto.....si parla di produzione Just in time (in tempo reale), ossia di una produzione che, per evitare di accumulare scorte eccessive (cioè merci invendute, destinate a deprezzarsi nel tempo), organizza il lavoro interno nel modo più flessibile possibile..... Se nel fordismo tempi e modi di produzione erano ferramente programmati, nell’epoca post-fordista in cui viviamo tutto è molto meno programmabile, sempre più occorre affidarsi alle occasioni che il mercato offre....”.2

La mancata ripresa dell’economia soprattutto dagli anni ‘90 in poi è anche dovuta alla sempre più estrema disuguaglianza, allargando la forbice di condizioni tra ricchi e poveri; si tratta di una ulteriore prova del fallimento del mercato che, lasciato libero a se stesso, accentua sempre più le distanze esistenti tra le classi sociali.

E’ in tale quadro storico politico-economico che vanno interpretate le caratteristiche principali del postfordismo incentrato sul paradigma dell’accumulazione flessibile che comunque si possono schematizzare con : una specializzazione flessibile, la volatilità dei mercati, la riduzione sostanziale della funzione di regolazione economica dello Stato-nazione e l’individualizzazione rapporti di lavoro.

L’intenso processo di industrializzazione fordista si sposta, così, verso nuovi mercati, specialmente del Sud-Est asiatico e dell’Europa Centro-Orientale, aumentando la competizione internazionale e mettendo in discussione la leadership statunitense.

Negli ultimi venticinque anni il modello consolidato di democrazia capitalistica, nato negli USA con il fordismo, in tutti i suoi diversi modi di presentarsi, si è dissolto cancellando quel concetto di società civile e di civiltà che aveva inaugurato l’ingresso nella modernità capitalistica, causando lo sbriciolamento della intera struttura produttiva preesistente e distruggendo le stesse forme di convivenza civile determinate dal modello di mediazione sociale di forma keynesiana.

Il crollo del modello fordista ha portato alla nascita dei nuovi modelli di accumulazione flessibile. Il principio che guida questo modello è basato sul fatto che essendo la domanda a fissare la produzione in relazione a modelli di competizione globale e sfrenata concorrenza, anche se spesso imperfetta, ne segue che la competizione si basa sempre più sulla qualità del prodotto, la qualità del lavoro, in un modello sempre più caratterizzato da risorse immateriali del capitale intangibile; una strutturazione del capitale che si accompagna al lavoro manuale sottopagato, delocalizzato e sempre più spesso non regolamentato e a servizi esternalizzati e a scarso contenuto di garanzie che ne permettono l’uso, e non più sulle connessioni fra quantità prodotta e prezzo (elementi tipici del fordismo).

La crisi del sistema, dovuta al processo di trasformazione del lavoro nella società post-fordista, può anche essere spiegata da questo contesto di sviluppo del lavoro a prevalente contenuto immateriale. Infatti questo tipo di lavoro si caratterizza: estensivamente mediante la forma di cooptazione sociale che va oltre la fabbrica e il lavoro produttivo, ed intensamente attraverso la comunicazione e l’informazione, risorse del capitale dell’astrazione o intangibile. Il lavoro immateriale viene inteso come un lavoro che produce il “contenuto informativo e culturale della merce”, che modifica il lavoro operaio nell’industria e nel terziario, dove le mansioni vengono subordinate alle capacità di trattamento dell’informazione, della comunicazione, orizzontale e verticale.

Si viene definendo un nuovo ciclo produttivo legato alla produzione immateriale che mostra come l’impresa e l’economia post-industriale e postfordista siano fondate sul trattamento del capitale informazione. Questo provoca una profonda modificazione dell’impresa ormai strutturata sulle strategie di vendita e sul rapporto con il consumatore, che porta a considerare il prodotto prima sotto l’aspetto della vendita e poi sotto quello della produzione. Tale strategia si basa sulla produzione e consumo di capitale informazione, utilizzando la comunicazione deviante e il marketing sociale per raccogliere e far circolare informazione per un complessivo condizionamento sociale.

Il concetto classico di lavoro viene messo in crisi dall’economia del capitale informazione, che rappresenta il fondamento del capitalismo post-moderno. Infatti la creazione di valore non si fonda più sullo sfruttamento dell’operaio della fabbrica fordista, ma esso viene estratto da ogni attività nella fabbrica sociale generalizzata. L’economia dell’informazione controlla e sviluppa la potenza dell’accumulazione flessibile sottomettendo le soggettività sociali alla potenza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che adesso dominano non più soltanto il tempo di lavoro, ma il tempo del vivere sociale nella sua interezza.

Non si tratta, quindi, di un semplice processo di deindustrializzazione, di una delle tante crisi del capitalismo, ma di una sua radicale trasformazione che investe l’intera società, che crea nuovi bisogni, di una concezione della qualità dello sviluppo, della qualità della vita che induce a diversi comportamenti socio-economici della collettività, imposti dalla flessibilità dell’impresa diffusa nel tessuto sociale rispetto a quelli della società industrialista basata sulla centralità di fabbrica.

... aumento della produzione dei servizi su quella dei beni materiali, ma ciò avviene soprattutto con processi di esternalizzazione dei servizi e di fasi del processo produttivo a basso valore aggiunto basati su un supersfruttamento del lavoro; un lavoro spesso attinto attraverso processi di delocalizzazione internazionali alla ricerca di forme di lavoro a scarso contenuto di diritti e a bassissimo salario; a ciò si accompagnata una forte presenza di lavori intellettuali e tecnico professionali spesso precarizzati come quelli manuali e ripetitivi. ... L’analisi che effettuiamo sull’attuale crisi del capitalismo, crisi anche di sovrapproduzione, di accumulazione e di domanda a causa anche della tendenza alla contrazione complessiva del salario sociale dell’intera classe lavoratrice, è crisi dovuta anche al passaggio dall’accumulazione materiale a forme di accumulazione su capitale immateriale. I nuovi processi di accumulazione sono anche collegati ai forti incrementi di produttività non redistribuita e ai processi di terziarizzazione, cui si accompagnano significativi spostamenti sulla rendita finanziaria. Tutto ciò serve ad evidenziare che il cosiddetto ciclo post-fordista della fabbrica sociale generalizzata realizza oltre a disoccupazione strutturale, anche le mille forme del lavoro atipico e flessibile, comunque catalogabili fra il lavoro salariato, dipendente,eterodiretto.

Oggi, la maggioranza schiacciante della popolazione dei paesi capitalistici è sempre composta da lavoratori salariati; il lavoro salariato costituisce la base del capitalismo, su scala molto più grande che ai tempi di Marx, all’interno dei processi e delle dinamiche di funzionamento del modo di produzione capitalistico di sempre.

I cambiamenti più recenti nella struttura della classe lavoratrice stessa indicano l’estrema importanza della categoria dell’operaio “collettivo”, introdotta e analizzata nel Capitale. Tale categoria comprende gli operatori del lavoro fisico e intellettuale che partecipano direttamente alla fabbricazione di un prodotto e sono comunque, rispetto al capitale, dei lavoratori salariati, lavoratori subordinati

E’ così che si giunge ad una fase in cui si stanno velocemente affacciando sulla scena economico-sociale nuove soggettualità, nuove povertà e quindi nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione e organizzazione del conflitto capitale-lavoro a partire da un’offensiva da parte dei lavoratori tutti.

Si tratta di forzare l’orizzonte a partire dal superamento dei confini sociali fra classe operaia propriamente detta, gli intellettuali, nuove figure del lavoro, del lavoro negato, del non lavoro, e accomunare questi gruppi sociali nella loro lotta per l’emancipazione sociale; ritrovandosi nei fatti nel conflitto capitale-lavoro,superandonellalotta gli schemi dell’ormai, decretata da alcuni studiosi anche di origine marxista, fine del lavoro. ...Ma quale fine del lavoro! Sempre più è viva l’analisi scientifica di Marx sul lavoro salariato, sulla “proletarizzazione” ed immiserimento, assoluto e relativo, di strati sempre maggiori delle società a capitalismo avanzato; per non parlare dei livelli di schiavitù, di feudalesimo e di miseria assoluta nel Terzo e Quarto mondo.

Tuttavia, le tendenze attuali, con l’aumento del numero dei lavoratori salariati impegnati al di fuori della produzione materiale propriamente detta, l’aumento del numero degli impiegati, dei flessibili, dei precari, dei temporanei, degli atipici in genere, l’incremento del tasso del lavoro intellettuale, o del finto lavoratore autonomo, nella composizione dell’ “operaio collettivo”, sono ben lungi da testimoniare la “deproletarizzazione” della classe operaia, o della classe lavoratrice in genere.

E’ così che nonostante il passaggio dall’era fordista alla cosiddetta era post-fordista, dall’operaio massa all’ “operaio sociale”, dalla centralità di fabbrica alla fabbrica sociale generalizzata, dalle “tute blu” ai colletti bianchi, dal lavoro manuale a lavoratori della conoscenza e dell’intelligenza, anche nei paesi a capitalismo avanzato permane e vive sempre più il lavoro salariato con forme sempre più sofisticate e sempre più incisive di sfruttamento.

Marx rivelò la tendenza oggettiva della produzione capitalistica verso uno sfruttamento massimo della classe operaia. Tale tendenza si è verificata e si verifica nel corso di tutta la storia del capitalismo.

ggi e a maggior ragione oggi, non è il fatto che ci sia sfruttamento di una parte della popolazione da parte di un’altra, quanto la forma che tale sfruttamento assume, cioè la produzione di ...

”plusvalore, per il quale il capitalista non paga nessun equivalente. E’ su questa forma di scambio tra capitale e lavoro che la produzione capitalista, o il sistema del lavoro salariato, è fondata, e che deve condurre a riprodurre continuamente l’operaio come operaio e il capitalista come capitalista.”

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Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono soprattutto trasformazioni che nascono dalla continua interazione del nuovo terziario postfordista con il resto del sistema produttivo, con tutto il territorio proprio perché si tratta di trasformazioni nate dall’esigenza di ridefinizione produttiva e sociale del capitale. Per poter essere lette sono pertanto necessarie analisi fortemente disaggregate della distribuzione localizzativa delle attività da confrontare con una lettura territoriale, più squisitamente sociale e politico-economica. Le nuove figure del mercato del lavoro, i nuovi fenomeni imprenditoriali sempre più spesso si configurano in forme occulte comunque di lavoro salariato, lavoro subordinato, precarizzato, non garantito, di lavoro autonomo di ultima generazione che maschera la cruda realtà dell’espulsione dal ciclo produttivo; si tratta di nuova emarginazione sociale altro che autoimprenditorialità!

E’ allora il territorio il centro verso il quale far convergere una parte rilevante degli interessi della collettività, della classe, delle nuove soggettualità che operano in un’impresa diffusa socialmente nel sistema territoriale. Una fabbrica sociale generalizzata in cui si generano nuovi soggetti che si devono ricomporre ad unità come corpo organizzato, come una totalità di parti interagenti come nuovi soggetti di classe, che si danno una certa caratterizzazione sociale perché derivano da una certa caratterizzazione produttiva della riconversione neoliberista, del modo di produrre e di proporre socialmente la centralità dell’impresa, del profitto, del mercato.

Attraverso una procedura oggettiva e scientifica, si può analizzare entro lo stesso ambito di studio l’analisi economica internazionale e nazionale per verificare le modalità di insediamento del sistema economico spazialmente concentrato, specializzato in un certo settore o in certe modalità produttive, relazionandolo ad una popolazione socialmente e territorialmente caratterizzata in modo coerente. Nuovi soggetti di classe, quindi, capaci, cioè, di innescare contraddizioni economico-sociali e processi di socializzazione. Valori e comportamenti orientati e derivati dalla presenza di un modello di sviluppo che a causa della ristrutturazione dell’impresa e del capitale incide profondamente sul territorio e crea la sua contraddizione nella nuova fase del conflitto capitale-lavoro.

Tali processi necessitano di una diversa e più articolata lettura socio-politica; hanno bisogno di nuove logiche interpretative, di nuovi strumenti ignorati dalle analisi di impostazione industrialista dell’era fordista per rilanciare una nuova fase del conflitto di classe.

Ne consegue che la liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalistico è possibile soltanto mediante il superamento del modo di produzione capitalistico. Questa deduzione aveva ed ha tuttora un’importanza molto grande poiché pone decisamente in discussione ogni sorta di illusione circa il superamento del conflitto capitale-lavoro all’interno del modo di produzione capitalistico.

Solo così si realizza un processo di profondo rinnovamento e superamento, in senso economico, politico e quindi sociale, totalmente fondato sul terreno di una possibile alternativa al capitalismo. Questa deve essere la linea guida della trasformazione, il compito fondamentale dell’onesto studioso marxista.

Come ci ha insegnato la gloriosa storia del movimento operaio, solo dalla stretta simbiosi fra teoria e prassi si può realizzare quell’ “intellettuale collettivo”, quella completa scienza che sia in grado di esprimere una funzione guida per tutti i movimenti di opposizione antiglobalizzazione liberista in modo tale che possano muoversi lungo la linea strategica della lotta contro la competizione globale per poli e con essa per il superamento del modo di produzione capitalistico.

E’ per questo che compito degli studiosi scrupolosi, onesti e coerenti è quello di affermare con forza la validità scientifica e l’attualità del pensiero di Marx e, se marxista, anche della sua attuazione pratica concreta. Si può così riprendere un dibattito in positivo e non soltanto attuare un’operazione politica e culturale dei marxisti in termini difensivi. Lanciando, in definitiva, una vera e propria “offensiva” scientifica, culturale che sappia riappropriarsi con forza, anche se con elementi di critica ma sempre in positivo, della teoria marxiana, della sua validità scientifica, ripercorrendo al contempo le esperienze di tutti quei movimenti culturali, ma anche politici e sindacali, che hanno affrontato e ancora affrontano la critica scientifica, anche radicale in chiave di alternativa al capitalismo.


da http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=190