Produzione immateriale
La Produzione immateriale tra tentativi di restrizione e sviluppo delle libertà digitali. Tecnologia e libertà di produzione digitale: riflessioni sulla reale posta in gioco di Francesco Tupone e Ezio Palumbo, soci dell’Associazione Culturale Linux Club Italia
Premessa
Lo sviluppo tecnologico pone la nostra vita e la nostra società su di un piano diverso rispetto al recente passato, consegnandoci grandi opportunità di libertà e liberazione ma al contempo ci espone a rischi di controllo totale e di dominio.
Le battaglie vinte a livello europeo negli ultimi anni, dal movimento per la cultura ed il sapere libero, contro le proposte di introduzione della brevettabilità del software, la scarsa presa degli strumenti di controllo dei dispositivi hardware (il parziale fallimento del Trusted Computing), la prossima fine degli effetti del Decreto Pisanu relativi al controllo dell’accesso ad Internet fanno sicuramente piacere, ma non possono rassicurarci più di tanto su scenari possibili di un futuro di oppressione e dominio sulle nostre vite: la questione dello sviluppo digitale tra nuove opportunità e nuove minacce necessita di alcune riflessioni.
Vogliamo tentare di dare un senso e un’interpretazione meno banale sul significato dei tanti tentativi di restrizioni digitali che si oppongono allo sviluppo delle libertà e dei diritti digitali e quindi sulla reale posta in gioco sul fronte delle nuove forme di produzione.
Introduzione
Quando iniziammo l'avventura del Progetto Linux Club, con la costituzione dell'Associazione Culturale Linux Club Italia e l'apertura della nostra sede di Via Libetta a Roma, avevamo intuito alcuni concetti e avevamo chiari alcuni obiettivi.
§ Utilizzare strumenti nuovi di comunicazione e di socialità, per diffondere e promuovere il concetto di software libero, ridurre il digital divide, esportare il modello organizzativo, la filosofia e lo stile di vita sociale tipici della comunità open source, rivolgendosi non soltanto agli appassionati di informatica ma alla "massa" (si perdoni il termine un po' desueto) dei potenziali fruitori.
§ Sostenere e rilanciare i valori della condivisione, della collaborazione e della partecipazione, visti non più, o meglio, non solo, come valori etici e morali, ma come idee-forza, capaci di diventare strumenti "superiori" di organizzazione, tanto nell'economia quanto nella politica, in quanto capaci di coniugare democrazia, efficacia ed efficienza.
§ Offrire alla comunità della rete nuovi strumenti e opportunità per sperimentare forme di altra economia centrate sull'autoproduzione, nella convinzione che nel settore digitale, forse più che in altri settori, la parola d’ordine del movimento dei movimenti, un'altro mondo è possibile, possa diventare una pratica sperimentabile già da subito!
Produzione materiale ed immateriale
Le considerazioni politiche ed economiche (ma qui stiamo parlando di livelli alti della politica, non della politica politicante), alla base del nostro progetto, riguardano proprio le peculiari modalità della produzione e della fruizione dei beni immateriali. Siamo pervenuti alla conclusione che le caratteristiche insite nella produzione digitale, associate alla forma di organizzazione tipicamente collaborativa dell'open source, rappresentino, in nuce, un nuovo, potente strumento di liberazione, a causa delle nuove opportunità che offrono allo sviluppo della persona, alla diffusione della cultura, alla reciproca conoscenza dei popoli e alla lotta contro tutte le forme di oppressione.
L'innovazione tecnologica, sempre più spinta, porta ad una consistenza sempre maggiore della produzione digitale: già oggi nei paesi più economicamente più avanzati, quelli del cosiddetto G8, il valore della produzione di beni immateriale ha superato abbondantemente quello della produzione tradizionale. Data la difficoltà crescente a valorizzare i capitali investiti nella produzione tradizionale (fenomeno evidente vista la crisi che ha investito tutto il mondo), le grandi corporation (i grandi capitali) guardano con sempre maggior interesse alle varie forme di produzione immateriale, nella speranza di ricavare dai nuovi settori forme di accumulazione ormai perdute nei vecchi settori.
La cosiddetta "Proprietà Intellettuale"
Si colloca in questo quadro la battaglia scatenata intorno alla Proprietà Intellettuale, espressione già in sé tendenziosa – cui andrebbe contrapposta quella, ben più congrua, di Patrimonio Intellettuale dell'Umanità – che collega verbalmente, senza alcuna mediazione, entità del tutto incommensurabili, nel tentativo di imporre il discutibile principio per cui anche sulle "cose immateriali" è possibile rivendicare una proprietà, o meglio una proprietà privata.
La volontà di chi introduce questo termine è quella di ridurre ad un "unicum" tematiche differenti e complesse, come la questione dei marchi, dei brevetti industriali, del diritto d'autore, regolate da leggi e normative differenti tra loro perché la natura degli argomenti è diversa, dalla questione degli OGM, alla tutela delle opere artistiche, ai prodotti farmaceutici, al software.
Il tutto per imporre una forma innaturale di proprietà privata delle idee, per vietare la libera condivisione dei saperi, per frustrare il sano e naturale impulso a soddisfare le proprie curiosità intellettuali al di fuori delle leggi dello scambio, by-passando, per quanto è possibile, la forma-merce e la forma-denaro, su cui poggia lo strapotere delle lobby economiche.
Forme alternative di tutela del diritto d'autore
Lo strumento delle licenze aperte, l’ormai famosa General Public License GPL, permette una tutela del software geniale, grazie alla sua forma ricorsiva, che impedisce qualsiasi forma di appropriazione privata. La regola di base, quella che consente di modificare il software GPL a patto che anche i successivi sviluppi e miglioramenti siano sottoposti al regime GPL, è ed è stata la chiave per tutelare in maniera chiara e definitiva il software libero, ottenendo un risultato grandioso.
Il Software Libero come Bene Comune
Tutto il software Open Source diventa quindi un Patrimonio inalienabile dell'Umanità, un Bene Comune.
Ma la produzione immateriale non è soltanto software, bensì anche opere artistiche, film, musica libri, video, ecc.. E quando si parla di arte, è sempre doveroso rispettare le volontà degli artisti. Per tale ragione, sono nate forme specifiche di tutela del diritto d'autore, che tengono delle peculiarità insite nella produzione di Software.
Le Creative Commons ed il copyleft
Le Creative Commons non garantiscono sempre le stesse libertà di fruizione dei beni immateriali come il Software Libero, ma pur tuttavia rappresentano una modalità ragionevole per consentire e favorire la diffusione condivisa delle opere.
In discussione non è il concetto di Diritto d'Autore, che in quanto diritto dell'autore va difeso. Si tratta piuttosto di coniugare il diritto dell’autore con altri diritti, soprattutto con il diritto alla condivisione della conoscenza e all'accesso alla cultura.
Tenendo conto che la diffusione gratuita delle opere spesso non va a detrimento del creativo, anzi spesso ne aumenta la reputazione e quindi anche la spendibilità nel grande mercato della produzione culturale.
Mercato e produzione immateriale, le debolezze intrinseche del capitalismo.
Come meglio illustrato in altri articoli e contributi, le opere digitali hanno caratteristiche completamente differenti dalle opere materiali, caratteristiche che ostacolano la loro ”sussunzione” sotto il processo di valorizzazione e di scambio capitalistico.
Un’opera immateriale ha bisogno di lavoro per essere prodotta, ma una volta realizzata si può riprodurre "ad libitum", praticamente senza costi (o comunque a costi irrisori) e quindi può essere scambiata e distribuita a piacere, ingenerando così un gigantesco (potenziale) processo di diffusione della conoscenza, a costi pressoché irrisori (che al più devono tener conto del tempo lavoro impiegato per la produzione o riproduzione del bene).
Tutte le leggi e le normative che tendono ad ingabbiare all'interno della logica privatistica i beni immateriali vengono percepite come una forma di oppressione che lede la libertà di disporre dell'oggetto immateriale. Impedire lo scambio di opere digitali, o la possibilità di fare una copia, significa esercitare una fastidiosa forma di repressione su relazioni sociali comuni e diffuse: come fare un favore ad un amico, ascoltare insieme un brano musicale, guardare un film, condividere emozioni.
Ma la debolezza del capitalismo risiede anche in un altro fatto, più strutturale.
La composizione organica del Capitale nei nuovi settori di produzione immateriale: le differenti evoluzioni nel settore digitale/immateriale e nel settore tradizionale/materiale
Aumento della composizione organica del capitale nei processi produttivi tradizionali
La fase che viviamo, che qualcuno ha definito turbocapitalismo o neoliberismo, è la conseguenza prevedibile e prevista del pieno sviluppo dell'economia capitalista. Una fase in cui il capitale si è sviluppato nella sua forma più pervasiva, e intrinsecamente contraddittoria. La competizione internazionale appare sempre meno regolata e guidata dalla politica; le leggi del mercato si sono dispiegate e si dispiegano tuttora nella loro estrema virulenza, lasciando le macerie che la nuova crisi che ci ha appena investiti (una crisi classica di sovrapproduzione) ormai rende a tutti evidente. Una crisi che il capitalismo può riuscire a superare solo innescando un processo distruttivo, per lui necessario a rimettere in moto il meccanismo dell’accumulazione.
Se questo è il quadro, vale forse la pena ridare un’occhiata alla “vecchia” legge marxiana, quella che spiegava la “caduta tendenziale del saggio del profitto” con lo sviluppo della competizione tecnologica, la diminuzione dei saggi di rendimento monetari con l’aumento della produttività fisica del capitale. Quella legge non era che il corollario della teoria del plusvalore, vale a dire della tesi secondo cui il valore creato ex novo dal capitale, e ridistribuito tra le classi proprietarie, scaturisce da una sola parte del capitale stesso, quella investita in salari, che possiamo pertanto chiamare capitale variabile, mentre l’altra parte, quella assorbita dai mezzi di produzione materiali (macchinari, materie prime e ausiliarie, ecc.), non fa altro che trasferire il proprio valore nel prodotto finale.
Schematizzando al massimo, l’idea è che, sulla spinta della competizione tecnologica tra capitali, quale risultato del continuo rincorrersi di innovazioni e salti di produttività, il capitale finisca, inconsapevolmente, per segare il ramo su cui è appollaiato, per prosciugare la fonte del plusvalore e del profitto, riducendo salari e diritti dei lavoratori – per esempio attraverso la flessibilità o il rilancio di forme di lavoro a cottimo – e, soprattutto, accrescendo continuamente quella che Marx ha chiamato “composizione organica”, cioè il rapporto tra capitale costante e capitale variabile.
In pratica si sta avverando oggi ciò che era alla base della teoria marxiana, la teoria della crisi economica: l’instabilità dell’assetto capitalistico e la tendenza alla crisi da sovrapproduzione delle merci: innalzamento della produttività e della produzione di merci e diminuzione della capacità di spesa, di sostenere la domanda e di acquistare le merci stesse prodotte.
La novità dell'evoluzione della composizione del capitale nel settore produttivo digitale e immateriale
Anche nel caso digitale si deve parlare di capitale costante e capitale variabile, anche nel settore digitale esistono mezzi di produzione, salari e profitti.
Possiamo per esempio immaginare un ciclo di produzione immateriale in cui informazioni, obiettivi, saperi, intuizioni, flussi comunicativi vengono trasformati dai programmatori, dagli sviluppatori, dai creativi, dai ricercatori e in generale dai lavoratori cognitivi, in "senso", in prodotti culturali e informativi, in prodotti digitali, in software o in opere multimediali.
A causa dell’innovazione tecnologica sempre più spinta si assiste a una sempre più accentuata riduzione dei costi delle macchine che costituiscono in generale i "vettori" della produzione immateriale (come ad esempio i costi delle connessione telematiche o dei dispositivi hardware) e, parimenti, a crescenti investimenti nella ricerca di competenze e di professionalità che afferiscono al sapere umano.
Nell'ambito della produzione immateriale, una volta abbattuto il costo per accedere agli strumenti, i motori principali diventano la creatività, la conoscenza, le competenze, le idee.
Nella produzione immateriale il capitale costante diventa esso stesso, in larga parte, immateriale.
Si potrebbe dire, in altri termini, che si tenta il trasferimento di paradigma dalle macchine alla "testa" degli uomini, dove le idee e la creatività sono le vere fonti ed i mezzi della produzione. Ma se questo è vero, ciò significa che gli uomini, ovvero i nuovi produttori di valore, diventano gli unici, veri artefici della produzione (sia pur nel nuovo settore del digitale), acquisendo un nuovo potere, potenzialmente molto più incisivo di quello che le classi subalterne hanno avuto a disposizione negli ultimi secoli.
Ciò può significare la sperimentazione di forme nuove e non velleitarie di economia, forme basate sulla cooperazione e non più sullo sfruttamento del lavoro. L’apertura di spazi importanti, dove la consapevolezza e l'organizzazione reticolare delle comunità agenti è chiamata a svolgere un ruolo cruciale, per superare la frammentazione dovuta alla precarizzazione sociale, politica ed economica e utilizzare in forma autogestita il nuovo mezzo di produzione immateriale a disposizione.
Gli scenari futuri
Questa modifica della centralità delle idee pone all'orizzonte un ventaglio di scenari, ai cui estremi stanno due possibili esiti:
§ Il completo assoggettamento al potere economico della società e del ciclo produttivo delle idee, il controllo totale e la repressione di ogni ricerca e sperimentazione scientifica extra "legale". Scenari di degrado tipo 1984 di Orwell, tanto per intenderci.
§ L’avvio di un ciclo produttivo capace di autonomizzarsi dal capitale, sia pure soltanto nel settore immateriale, possibilità quindi di lanciare la sfida più ambiziosa "Rendere possibile una produzione che faccia a meno della funzione del capitale": impraticabile nella produzione materiale, attuabile sin da subito nel settore digitale "
Tutto dipenderà dallo scontro tra i grandi capitali, che mirano a conservare il potere (economico), pur non avendo più (nella produzione digitale) alcuna funzione oggettiva, e i nuovi produttori di valore, i lavoratori cognitivi, da un lato, purtroppo, sempre più subalterni, frammentati e disarticolati dalla precarizzazione sociale e del lavoro, ma di fatto centrali nei processi produttivi digitali.
Le risposte delle grandi corporation
Il tentativo delle grandi corporazioni e lobby è sempre lo stesso: riporre intorno al nuovo soggetto, ovvero la produzione delle idee, le compatibilità economiche ed i paradigmi classici dello scambio delle merci, imponendo il reticolato di regole, tasse e gabelle che ne permetta il controllo, per mantenere la propria esclusività nella produzione e per difendere la propria quota di mercato.
Gli strumenti utilizzati sono tanti e variano continuamente.
Possono essere l'approvazione di una legislazione che introduce i brevetti nel software, o il DRM Millennium Act; l'approvazione della Legge Urbani o la sperimentazione del Trusted Computing; la diffusione di campagne di stampa che criminalizzano internet ed il P2P oppure gli ostacoli alla diffusione del Wi-Fi; i decreti sulla sicurezza che regolano (ed ostacolano) l'accesso alla rete, la data retention o le protezioni digitali; l'introduzione del concetto di proprietà intellettuale e la demonizzazione della copia dei Cd/Dvd (legalmente possibile invece in moltissimi casi).
Non ultima la clausola contrattuale che in grandi imprese di software statunitensi vieta ai dipendenti, al termine del loro rapporto di lavoro, di utilizzare le conoscenze professionali e la formazione acquisita in azienda nei due anni successivi: in pratica una esplicita rivendicazione di proprietà del nuovo mezzo di produzione immateriale
L'importante per queste "lobbies" è difendere il proprio ruolo, la propria funzione, i propri fatturati. Disposti anche ad imporre in futuro il proprio dominio in un mondo che invece potrebbe fare a meno di loro
I brevetti nel software
Il tentativo di imporre una legislazione che introduceva i brevetti nel software andava in questa direzione. Sia chiaro non abbiamo mai pensato che qualcuno avesse l'ambizione di "vietare" oggi lo sviluppo della programmazione software, e quindi di imporre un dominio fondato sulla negazione della libertà di conoscenza, di ricerca o di comunicare. I brevetti nel software rappresentavano una forma di garanzia che qualora le comunità open source riuscissero a "sfondare" con le loro forme di produzione immateriali (software) "liberate", svincolate quindi dalla forma merce, poi tutto potesse ri-confluire nell'alveo delle compatibilità economiche.
In uno scenario possibile, dove il software libero dovesse "vincere" o dove i "piccoli sviluppatori" potessero ottenere importanti quote di mercato, tramite i brevetti le grandi aziende avrebbero potuto contare ancora molto: alla eventuale ridotta quota di produzione avrebbe potuto far fronte una maggiore quota di rendita, la rendita derivante dalla miriade di brevetti software depositati.
Sperimentare forme autentiche di Altra Economia
La nostra azione, di chi ambisce a costruire le condizioni di liberazione dell'uomo, deve essere tesa a preservare il terreno delle idee dall'irreggimentazione capitalistica, poichè la libertà digitale offre un potere immenso ai nuovi produttori, il potere di "sottintendere" al Capitale, il potere cioè di cortocircuitare i protagonisti della produzione, i due attori classici Capitale e Lavoro, in un unico soggetto, o meglio in una unica comunità di soggetti.
I nuovi produttori di valore, i programmatori, i creativi del web, gli artisti, i semplici appassionati hanno la possibilità di fare a meno dei grandi capitali per realizzare i loro progetti, le merci immateriali diventano potenzialmente producibili da tutti, o comunque producibili da tanti ed a costi irrisori.
Quella che si evidenzia è una potenzialità ancora non completamente espressa, per essere realizzata occorre una volontà, una "determinazione", una "organizzazione", una appartenenza a reti e comunità, occorre costruire e ampliare relazioni e sinergie, e combattere gli ostacoli che vengono frapposti per impedire ed inibire l'autoproduzione.
(Sia chiaro per inciso non si vuole qui omettere che non tutti oggi hanno le capacità, le risorse, le tecnologie: ancora per la maggioranza dell'umanità esiste un fortissimo gap dovuto al divario tecnologico che impedisce forme nuove di emancipazione. Il ragionamento che ci stiamo apprestando a formulare è valido qui, per chi vive nei paesi più avanzati, per chi è inserito nel centro della produzione immateriale mondiale).
Lo strumento del software libero per l'autopromozione, produzione e liberazione
Lo strumento principe che abbiamo a disposizione è quello del software libero, un bene comune che va promosso e sviluppato, perchè può essere utilizzato per ampliare le forme di sperimentazione di progetti non direttamente finalizzati allo scambio denaro/merce, ma che hanno lo scopo di dotare gli uomini e le comunità, di beni e ricchezza spesso immateriali, ma altrettanto spesso capaci di soddisfare anche necessari bisogni materiali.
Nuova linfa per la speranza e per l'azione
Lo sforzo che a nostro parere occorre fare non è quello di trovare le compatibilità con l'assetto economico imperante (il riferimento va, ad esempio, alla ricerca spasmodica del modello di business per l'open source) ma provare a sperimentare, promuovere e realizzare progetti che tentino la via della produzione diretta, di valori o meglio ancora di valori d'uso, in grado di contrastare la pervasività del capitale che tutto vuole ridurre in scambio e merce.
Una azione che è difficilissima se non addirittura impossibile in questa fase nel settore della produzione materiale, ma che invece è già alla nostra portata nel settore della produzione immateriale.
Liberare dal mercato la produzione immateriale, "diventare tutti più ricchi", approfittando delle opportunità e delle potenzialità della rete, più ricchi non di denaro ma di cultura, in termini di innalzamento della qualità della vita: questo è l'obiettivo di chi vuol difendere le libertà digitali.
Perchè oggi la vera libertà digitale è quella di poter disporre della tecnologia, di poter utilizzare gli strumenti che, virtuosamente, la condivisione del sapere e della conoscenza ci mette a disposizione, la vera libertà digitale è quella di poter usufruire, di scambiare e di fare cultura. La libertà è quella di provvedere, insieme, ed in maniera collaborativa, a soddisfare i nostri bisogni.
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Francesco Tupone e Ezio Palumbo fanno parte dell'Associazione Culturale Linux Club Italia.
Ingegneri elettronici, laureati presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, hanno avuto una formazione politico-culturale ed un percorso di vita comune, militando nel movimento studentesco del 1990 (La Pantera). Francesco Tupone vive a Roma, nel quartiere Garbatella, noto laboratorio politico-sociale di sperimentazione di governo dei nuovi municipi. Ezio Palumbo, vive a vasto (CH), è attivo nel Sindacato Tessile CGIL/FILTEA.